giovedì 5 dicembre 2013

Democrazia Paritaria, un tabù difficile da sfatare

Le donne oggi hanno una nuova consapevolezza, sono sempre meno disposte a fare rinunce, vogliono contribuire a costruire le condizioni per poter essere davvero libere e responsabili; lo diceva bene Alain Touraine, vogliono essere artefici di se stesse e del loro destino.


La lotta per il superamento delle differenze di genere passa necessariamente da una maggiore partecipazione delle donne alla vita politica e amministrativa. Il livello di rappresentanza femminile è uno dei criteri con i quali si misura il grado di civiltà di un'istituzione.  In questo senso, la totale assenza di donne elette in seno al Consiglio Regionale della Calabria nel 2010 ha rivelato quanto sia lungo il percorso da compiere nella nostra regione per un'effettiva parità di genere. Gli strumenti legislativi, in primis quello della doppia preferenza, potrebbero rappresentare una soluzione per il riequilibrio della rappresentanza nell'ottica di una democrazia paritaria.

«Democrazia paritaria» non è una formula vaga, ma ha una sostanza culturale, giuridica e politica molto pregnante che dà forza al principio di eguaglianza. Coincide con la costruzione comune delle istituzioni democratiche, con la cooperazione nelle attività sociali e con la condivisione del lavoro di cura. In sostanza la democrazia paritaria mira alla condivisione del potere pubblico e delle responsabilità private in una democrazia che sancisce nella sua Costituzione  l’esistenza sulla scena pubblica di due generi che godono di eguali opportunità.
Lo scrimine è sostituire quella che la sociologa Marina Cacace definisce “matrice monosessuale”della politica, con“una nuova matrice della politica, che accolga la differenza sessuale. L’ingresso delle donne nella sfera pubblica consente loro di divenire “visibili” e uscire “dall’ombra”, dove per troppo tempo sono state confinate.

Da questo consegue che il principio tradizionale della giustizia sociale da solo non basta più in ogni attività legislativa, è necessario arricchirlo con il principio della giustizia di genere, che tiene conto delle ripercussioni che le misure sociali, economiche, legislative hanno sulle donne.

Ma un partito di sinistra come il PD, nato dall'incontro di culture politiche nelle quali le donne hanno ricoperto ruoli apicali e combattuto battaglie che hanno reso questo Paese più civile, non può attendere un'imposizione legislativa per garantire un effettivo coinvolgimento femminile.
Il tutto ovviamente partendo dalla ricostruzione del tessuto di relazioni con tutti quei movimenti e quelle associazioni che in questi anni sono stati il mezzo, al di fuori dei partiti stessi, attraverso cui le donne hanno agito per la difesa delle loro prerogative.
La legge 215 del 2012 sulla doppia preferenza di genere alle Elezioni amministrative può contribuire ad alimentare una cultura che in passato è stata fortemente osteggiata a causa sia della crisi del bipolarismo, sia per l’attuale legge elettorale, che premia la fedeltà al capo piuttosto che le competenze, dunque svilisce la capacità di rappresentanza dei parlamentari in generale e delle donne in particolare.
Il World Economic Forum ogni anno stila la classifica sulla parità di genere a livello globale, sciorinando i dati ufficiali sulla disuguaglianza di genere nel mondo. E l’Italia? Ha raggiunto il 71° posto, non certo una posizione edificante. Tuttavia, rispetto allo scorso anno abbiamo guadagnato nove posizioni, anche grazie alla cospicua presenza di donne in Parlamento, che in questa legislatura hanno raggiunto il 30%. Ma non basta. Bisogna diffondere una cultura diffusa che a cascata coinvolga le donne a tutti i livelli, facilitando, con mezzi temporanei, il loro coinvolgimento in ogni ambito.
Le donne sono il più grande fattore di cambiamento di questo secolo e le donne italiane sono, come disse qualcuno, il più eclatante ammasso di talenti sprecati del mondo Occidentale. Smettiamola di discriminarle e frantumiamo questo maledetto soffitto di cristallo che le blocca. A beneficiarne non saranno solo loro, ma l'intera società.

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